- A descrivere la persona con afasia in una prospettiva antropologica, interattiva e sociale
- A leggere i fenomeni senza privilegiare gli aspetti fisiologici e biologici che portano a definire questa esperienza come un problema sanitario de-personalizzato. E quindi a definire l’afasia senza tralasciare i fattori sociali correlati.
- A rifiutare la teoria della “tragedia personale” che colloca il problema entro l’individuo e la soluzione nei professionisti.
- A guardare criticamente la “società della conoscenza” che diventa elitaria se non addirittura produttrice di “in-competenza” quando offre non solo l’occasione per costruire le differenze ma anche gli strumenti per farlo.
- A capire che le barriere ambientali e sociali che escludono gli individui dal mainstream prevalgono sulla stessa esperienza di menomazione dunque non è solo l’assenza di “abilità” a creare impedimento alla partecipazione sociale, ma anche l’ insufficiente condensato di sforzi collaborativi.
- Ad interessarmi alla delicata fase di negoziazione tra la persona e il suo contesto per la conquista di un nuovo ruolo.
- A cogliere e combattere l’ esagerato focus sull’individuo come se questo fosse il “locus” di tutta la vita cognitiva.
- A focalizzarmi su come le azioni e le espressioni emergano non tanto dalla psicologia di un individuo isolato, ma dal modo in cui gli esseri umani costruiscono significati condivisi e adottano azioni concertate attraverso l’utilizzo di sistematiche pratiche di interazione.
- A interrogarmi su come ridurre lo stigma e l’isolamento sociale della “famiglia afasica”.
- A capire che se è vero che l’afasia è un costrutto sociale è anche vero che proprio per questo, può diventare oggetto di azione sociale
*Aura Kagan è Executive Director, e Responsabile della Ricerca Educativa ed Applicata presso l’Aphasia Institute di Toronto, Ontario, Canada