Come professionisti della comunicazione, possiamo migliorare le esperienze cliniche deə clienti transgender, proteggendolə dall’Outing (quando qualcuno decide di rendere di dominio pubblico un dettaglio privato, come lo schieramento politico o la fede religiosa, o l’identità di genere di un altro individuo senza il suo consenso).
In particolare, l’inclusione di informazioni irrilevanti nelle cartelle di pazienti transgender a disposizione di persone che non hanno bisogno di conoscerle, espone ə pazienti a cure mediche scadenti e esperienze snervanti. Purtroppo infatti il pregiudizio inconsapevole di alcuni sanitari li porta ad attribuire inavvertitamente sintomi e problematiche all’ “identità di genere”, piuttosto che focalizzarsi sugli elementi realmente in gioco.
Se il nome e l’aspetto di qualcuno corrispondono a quanto scritto sulla sua cartella, non c’è motivo per cui alcun membro del team sanitario, inclusi i logopedisti, debba riferirsi a loro come “ “pazienti transgender”. Di fronte a queste informazioni superflue, gli operatori potrebbero trascurare ciò che invece è rilevante e causare disagio alle persone.
Queste infatti spesso riferiscono un’ansia estrema in contesti clinici e medici, descritta in vari studi (il 70% di tutti gli intervistati ha riportato esperienze negative nella ricerca di assistenza sanitaria; l’80% degli studenti di medicina che hanno risposto a un sondaggio anonimo ha riferito di sentirsi “non competente” o “piuttosto incompetente” nel trattamento dei pazienti appartenenti a minoranze. oggetto di stigma).
Va bene parlare di identità di genere quando è clinicamente rilevante. Ad esempio: “Alex è un paziente non binario che desidera modificare la propria voce in modo che sembri più congruente con il suo aspetto. Riferisce di sentire affaticamento vocale dopo aver provato diverse strategie per alterare la loro voce senza un input professionale. Si presenta con raucedine e volume ridotto”.
Queste sono informazioni clinicamente rilevanti, complete di un uso appropriato del pronome e tutti i fatti sono dichiarati per quello che sono.
Al contrario, non va bene parlare di identità di genere in contesti clinici nei quali non è necessario. Non diresti mai: “Il paziente è un uomo cisgender di 58 anni con disfagia“.
Alcuni operatori non conoscono il termine “transgender” e vogliono chiarimenti, anche se l’identità di genere è irrilevante (come nella gestione della disfagia).
Poiché questa confusione linguistica può portare a maltrattamenti e discriminazioni, occorre prestare particolare attenzione all’eliminazione di informazioni che non sono clinicamente rilevanti, almeno fino a quando i professionisti non avranno completato la loro formazione in ambito di competenza culturale.
Il genere è irrilevante per la maggior parte delle interazioni cliniche: può essere essenziale per un urologo, ma non per un neurologo.
Ecco cinque cose che possiamo fare per supportare la sicurezza, la privacy e un trattamento efficace dei pazienti transgender:
- Rimuovi qualificatori come “pronomi preferiti” e “si identifica come” quando descrivi l’identità di genere di qualcuno. Agli operatori non dovrebbe essere data l’opportunità di ignorare i pronomi di qualcuno, disumanizzandoli. Le preferenze non hanno garanzie. I pronomi sono informazioni fattuali. Basta usare e modellare il linguaggio appropriato. Se sei preoccupato di usare una definizione corretta, chiedi direttamente alla persona.
- Non fare domande curiose alle persone transgender sulle loro transizioni o identità ed etichetta questo comportamento come inappropriato quando lo vedi fare dagli altri. Questo vale non solo per i clienti transgender, non binari e di genere non conforme, ma anche per i colleghi. Alle persone transgender generalmente non piacciono le persone che si interessano in modo speciale a loro a causa del loro genere.
- Fai pressione sulla tua struttura perché adegui le cartelle cliniche elettroniche affinché cambi il modo in cui vengono visualizzate le informazioni delle persone, proteggendo così le persone transgender dai “maltrattamenti” da parte della comunità medica. Il termine “transgender” non dovrebbe essere in cima alla cartella clinica di qualcuno come “problema medico attuale”. Dovrebbe essere elencato in una categoria diversa, meno importante, come ad es. “sistema riproduttivo”. Tutti in uno studio medico o in un ospedale, dall’addetto alla reception all’OSS, possono vedere tutte le informazioni nella cartella clinica di un paziente.
- Mantieni la privacy delle persone transgender non rivelandole ad altri. Fare “outing” a una persona trans mette quella persona a rischio.
- Sviluppa e modella le tue competenze relative al linguaggio e alle interazioni con persone transgender, non binarie e non conformi al genere. Reagisci quando senti termini usati in modo impreciso o irrilevante: “operato”, “non operato”, “uomo che vive come una donna”, “era una donna”, “precedentemente noto come…nome precedente”.
In sintesi, i/le logopedistə possono modellare il proprio stile comunicativo quando parlano a persone transgender, non binarie e non conformi al genere, senza incorrere nella “disumanizzazione”.
In particolare, è possibile garantire l’uso appropriato delle informazioni, mantenendo la privacy di unə paziente oscurando quelle non clinicamente significative.
Fonte: Our Transgender Language Choices Make All the Difference, AC Goldberg, PhD, CCC-SLP